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Alessinomia, il disagio nascosto dietro i nomi propri

Per alcuni è difficile pronunciare il nome di qualcuno, e alcune volte potrebbe essere associata ad una certa condizione.

Ti è mai capitato di sentirti a disagio chiamando qualcuno per nome? Magari hai evitato di pronunciare il nome di un amico o di un familiare, preferendo un generico “ehi” o “e tu”. Non sei solo. Esiste un termine per descrivere questo disagio: “alessinomia”. Non è una parola che si sente tutti i giorni, ma si riferisce a una condizione poco conosciuta che rende difficile, se non impossibile, usare i nomi delle persone, anche quando lo si desidera.

Questa condizione, definita letteralmente come “mancanza di parole per i nomi”, è stata descritta in un articolo pubblicato sulla rivista Journal of Anxiety Disorders. I ricercatori dell’università Sigmund Freud di Vienna hanno scoperto che l’alessinomia potrebbe essere un sintomo dell’ansia sociale, quella sensazione di disagio che si prova nel sentirsi osservati o giudicati.

Le testimonianze raccolte dai ricercatori sono a tratti sorprendenti. Una donna, ad esempio, ha raccontato di non essere mai riuscita a pronunciare il nome del marito, nemmeno nei momenti più intimi. Un’altra persona ha descritto una situazione in cui, mentre aiutava il fidanzato a seminare in un campo, non riusciva a chiamarlo per nome per avvisarlo di rallentare. Alla fine, fu una signora vicina a farlo per lei.

Ma perché questa difficoltà? Le cause non sono del tutto chiare. Gli studiosi ipotizzano che possano essere legate a esperienze difficili nell’infanzia, come episodi di bullismo o traumi familiari. In ogni caso, è evidente che usare i nomi non è una questione solo grammaticale: ha un valore sociale e simbolico molto più profondo.

Un disagio quotidiano

Pensandoci bene, i nomi sono qualcosa di strano, no? Da un lato, sono il nostro biglietto da visita, una delle prime cose che impariamo a dire e a riconoscere. Dall’altro, possono diventare un peso. Per alcune persone, usare il nome di qualcuno è un atto carico di significato, quasi come se pronunciarlo fosse troppo intimo o, al contrario, troppo distante. Chi soffre di alessinomia spesso evita del tutto situazioni in cui potrebbe essere necessario usare i nomi. Preferiscono il contatto visivo o fisico, o magari trovano scuse per non dover chiamare nessuno.

A volte, non usano i nomi propri perché li percepiscono come troppo formali; altre volte, perché li vedono come un’intrusione nella sfera personale. E poi c’è la questione del contesto. Pensa a quante volte usare un nome cambia il tono di una conversazione. Se un genitore chiama il figlio per nome completo, di solito significa che sta per rimproverarlo. Se un collega ripete il tuo nome più volte in una riunione, potrebbe sembrare artificiale o, peggio, irritante. Ecco, chi soffre di alessinomia potrebbe avere un’intuitiva paura di sbagliare, di essere frainteso o di creare situazioni di disagio.

Alcuni nomi propri di persone (Depositphotos FOTO) – www.notiziesecche.it

Il ruolo sociale dei nomi

I nomi non sono solo parole. Hanno un ruolo sociale complesso che cambia a seconda delle culture e delle situazioni. Nelle società occidentali, per esempio, non usiamo i nomi propri con persone che consideriamo superiori gerarchicamente, ma tendiamo a non usarli nemmeno con i familiari più stretti. Spesso preferiamo soprannomi affettuosi o termini come “mamma”, “zio” o simili. Questa flessibilità rende i nomi particolarmente versatili, ma anche potenzialmente problematici.

Usare o non usare un nome può cambiare il senso di una frase. Pensa a quando qualcuno ti chiama per nome per attirare la tua attenzione: è diretto, personale. Ma se lo fa troppo spesso, magari durante una discussione, può suonare come una provocazione. Non c’è da stupirsi che chi soffre di alessinomia preferisca evitarli del tutto. In fondo, il nome è un elemento centrale della nostra identità, ma anche uno strumento di comunicazione potente e delicato. Chi ha difficoltà a usarlo potrebbe inconsciamente temere di sbagliare o di essere frainteso. 

Mattia Paparo

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