Telefono vintage (Depositphotos foto) - www.notiziesecche.it
Dal silenzio alla voce: la straordinaria storia del brevetto che trasformò per sempre il modo in cui l’umanità comunica a distanza.
Ci sono storie che iniziano in modo silenzioso, ma finiscono col far rumore in tutto il mondo. Quella di Alexander Graham Bell è proprio una di queste. Nato a Edimburgo nel 1847, cresce in una famiglia dove la voce è il centro dell’universo: il padre e il nonno si occupano di dizione, mentre la madre e la futura moglie sono sordomute. In un ambiente così, impari presto che parlare – o non poterlo fare – è molto più che emettere suoni. È un legame umano profondo, qualcosa che segna la tua identità. E forse è da qui che nasce l’ossessione di Bell per la comunicazione.
Quando emigra in America, si porta dietro tutto questo bagaglio e lo trasforma in ricerca. A Boston ottiene una cattedra di Psicologia Vocale e continua a studiare il linguaggio e il suono. Ma non si limita ai libri. Si mette a sperimentare, smonta e rimonta strumenti, lavora con fili e impulsi elettrici. Uno dei suoi primi esperimenti davvero notevoli è un pianoforte elettrico capace di trasmettere la musica a distanza. Già solo questa invenzione, per l’epoca, è fantascienza. Ma Bell non si ferma. Anzi, ci prende gusto.
Nel frattempo il mondo corre. La tecnologia si muove veloce, i brevetti spuntano come funghi. Il telegrafo elettrico è già una realtà consolidata e tutti cercano un modo per fare il passo successivo: trasmettere la voce. Bell, anche grazie al sostegno economico del suocero – che gli crede sul serio, o almeno ci scommette – riesce ad accelerare.
Mentre altri stanno ancora lavorando al progetto, lui ha già in mente un sistema più sofisticato. E soprattutto ha capito l’importanza di arrivare per primo. Così, quando si presenta con il suo dispositivo all’Esposizione di Filadelfia del 1876, il colpo di scena è già avvenuto. Lì stupisce tutti recitando Shakespeare al microfono, ma il vero colpo l’aveva piazzato qualche giorno prima, all’ufficio brevetti.
Il 7 marzo 1876 è la data chiave: Bell deposita il brevetto numero 174.465 per il suo “telefono parlante”. Lo fa poche ore prima dell’ingegnere americano Elisha Gray, che aveva sviluppato un’idea simile. Una corsa al millesimo di secondo, quasi da film. Ma la questione non finisce lì. C’era infatti già stato un altro inventore, Antonio Meucci, che nel 1871 aveva registrato una sorta di “notifica di invenzione” per un dispositivo simile.
Meucci però, per problemi economici, non era riuscito a depositare un brevetto completo. Più avanti accusò Bell di avergli copiato l’idea, ma non riuscì a vincere la causa. Solo nel 1887 arrivò una prima ammissione dalla Corte Suprema, e nel 2002 il Congresso USA riconobbe ufficialmente Meucci come il vero pioniere.
Dopo il brevetto, Bell fonda la Bell Telephone Company, che nel tempo diventerà AT&T, una delle più grandi aziende del settore. Il suo telefono funzionava grazie a un circuito elettrico con batteria, un microfono e un ricevitore: sembrava semplice, ma era rivoluzionario. All’inizio il dispositivo veniva usato solo in ambienti professionali, tipo uffici o installazioni militari. In Italia la telefonia arriva qualche decennio dopo, nel 1923, con cinque compagnie private (Stipel, Telve, Timo, Set, Teti) che gestivano le reti urbane.
La vera svolta però si vede solo nel dopoguerra, quando comincia la diffusione nelle case. Negli anni ’50 e ’60 il telefono entra nella vita quotidiana, e tra gli anni ’70 e ’90 spuntano le tastiere, i fax, la segreteria e i primi cercapersone. Tutto partito da quella scintilla, quel primo segnale elettrico che, in un giorno di marzo del 1876, ha connesso per sempre le nostre voci.
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